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Spazzando, tra il serio e il faceto

di Claudio Cecchella

Dopo il leprotto, ecco la nuova esperienza atletica contingente di chi vi scrive: la scopa, ovvero la ramazza ovvero, in "language d'oc", la "Ramacette".
E' la migliore prospettiva per osservare il mondo da dietro (linguaggio d'oc, "Retro") e mettere a frutto la filosofia della "rincorsa", di cui rincorre.it è manifesto ideologico, un po intellettuale invero (non me ne voglia l'ideologo pisano in terra leghista): la prassi è ben altra cosa.
Ne ho fatta pratica con immenso godimento, sia all'Ecomarcia e sia alla Strapazzata, accompagnato dal fido Arturo e nella prima esperienza da Michele e il mio giovane allievo Andrea.

Si scoprono solo così i personaggi delle retroguardie, che si celano all'immortalità dell'immagine digitale o al colloquio con il cronista, solo perché seguono un ritmo di corsa diverso, con la loro filosofia di vita podistica.
Come Vittoria, del Marathon club, che agita le sue racchette di grande e indefessa fondista, donna di montagna, anche nei percorsi in piano, e che ho scoperto, dopo pochi chilometri in grande solitudine, annusare la fragranza del biancospino in fiore. Vittoria è croce e delizia del servizio scopa, perché il manuale impone l'accompagnamento al traguardo, ma a differenza della Ecomarcia dove ci confessa di essere partita poco dopo le 07:00, qui è partita addirittura alle 09:40. Con Vittoria ho l'occasione di una brevissima trattativa, tanto la persona è sensibile e disponibile, mettendo a frutto la mia esperienza ultraventennale di azzeccagarbugli e investendola delle funzioni di "scopa" di fatto, lasciandole i cartelli ben in vista alle curve e chiedendole il loro recupero strada facendo (poi ho saputo che ha avuto una guardia del corpo nella persona del Paolicchi, presidente del Due Arni, dando la giusta solennità al suo ruolo di funzionario di fatto).
Oltre la metà del percorso, nella retta che conduce al terzo ristoro, il gruppetto di Gigi Brogni e dei simpatici camminatori bergamaschi e veronesi, i quali si sono cimentati nella lunga, ostentando un lignaggio non proprio comprensibile a noi toscani. Gigi, la cui Autorità e autorevolezza podistica non mi ha consentito un'operazione come quella con la gentilissima Vittoria, predica la filosofia del sorpasso passivo e mi dice di avere in occasione di un Passatore sorpassato numerosi podisti che si ritrovava sistematicamente avanti dopo qualche decina di chilometri e mi narra il curioso episodio del podista veneto, nelle vicinanze del traguardo che già si intravedeva all'orizzonte, disteso sul greto di una chiesa, che al preoccupato soccorritore chiedeva di lasciarlo morire in pace, due filosofie del podismo che meritano eguale attenzione dallo psicologo come dal sociologo.
Memorabile il passaggio al primo ristoro, monopolizzato dall'Ulivetese, ove mi si preannuncia un'imminente causa civile verso noto avvocato podista, il quale si era promesso coadiutore (invero insieme ad altro noto personaggio dello stesso gruppo), salvo poi declinare l'incarico o, com'egli vanamente tenta di spiegare, per ordini superiori…
Incasso il J'accuse e constato con Arturo la diversa filosofia della pianificazione del percorso, quella dell'ecomarcia (alias Ceck) stracolma di nastri, tutti rigorosamente collocati in rovi e pini marittimi attraversati da processionarie, con cartelli e frecce leggere come il ferro battuto che ne costituisce l'anima, collocati alla sommità di colli irraggiungibili (qualcuno ha avuto modo di esprimersi in senso critico lamentando la scarsa segnaletica sul percorso) e quelle della Strapazzata (alias Ciapetti-Passetti), di compensato leggero, con nastri a distanza di centinaia di metri l'uno dall'altro nella prospettiva corretta della visione del podista.
Alla fine, tutti alla ribotta degli ospedalieri e al baccanale del buon vino di Montecchio di Peccioli che Alvaro dell'ulivetese dispensa e che interpreto già come segno del perdono.